La prima cosa che associo – quando penso e pongo attenzione alla parola COMPASSIONE – è il ricordo ( giusto o sbagliato che possa essere ) di una frase:
“Allora il Signore… mosso a compassione …” … che, credo, sia riportata nei Vangeli dove Gesù con questa espressione si racconta chiamato ad intervenire per fare un miracolo o comunque rispondere ad una situazione che lo aveva toccato nella sensibilità e coinvolto al punto di decidere di intervenire … in soccorso e miracolo.
Quello che ci leggo immediatamente, in questo aspetto della memoria, è che in presenza di uno stimolo, di una percezione di problema o di sofferenza di altro od altri – in via ordinaria in presenza di una persona rispetto alla quale ci si riscontra in attenzione e motivazione – ci ritroviamo identificati nella situazione ( di sofferenza, di dramma … ovvero problema spesso irrisolvibile ) e ne condividiamo la sofferenza, attivando il desiderio che possa materializzarsi un cambiamento o un aiuto.
E’ qui che la mia sensibilità viene toccata : si sintonizza sulla stessa lunghezza d’onda di quella sofferenza: e l’emozione fa spazio ad una riflessione mentale che mi interroga e chiede quale comprensione posso dare … quale aiuto sono nelle condizioni di portare.
Ecco, sono già identificato in quella condizione e persona: come posso fare qualcosa per alleviarne la pena ? come contenere o trasformare il dolore ? … la mia sensibilità ed emozione – educata in sentimenti di simpatia ed empatia – è già sintesi e conclusione di un sentimento di COMPASSIONE.
Ecco: un “sentire”, un “vedere” …
… e l’emozione che mi prende ( che reagisco a livello psichico ) mi fa attivare la mente in una riflessione che è di identificazione simpatica ed empatica e, quindi, in un desiderio di intervenire: per testimoniare vicinanza, per consolare, ma anche o soprattutto per fare qualcosa, per aiutare e trasformare, foss’anche con preghiere da lontano.
Compassione è quella che mi fa assistere fino alla morte un malato terminale ( per esempio) pur nella consapevolezza di non poter fare nulla se non alleviare – fosse pure sul piano soltanto morale – con la mia presenza o con il mio aiuto, le pene della persona interessata.
È ovvio che il grado di coinvolgimento affettivo e il livello di sensibilità educata ( nella persona che prova compassione ), è direttamente proporzionale al grado di coinvolgimento con l’esperienza che accade … Ovvero per come la situazione ci colpisce.
Compassione, dunque, è quando simpatia ed empatia ti fanno sentire identificato in una situazione dove anche un gatto, un animale qualunque in situazione problematica ( domestico o no ), sopra tutto una persona in una situazione critica e di particolare valenza “impressionante” ( un clochard , la vittima di un terremoto o di una violenza, un incidente ) ci comportano coinvolgimento e sofferenza e desiderio di soluzione giusta per la cosa.
Ed a muoverci a compassione può essere anche una foto o un video riportato da notizie in cronaca, come può essere un dato di realtà direttamente vissuto.
Ed in questa esperienza – che è comunque per te di realtà – ti ritrovi a sentire nel cuore e riflettere nella mente tutta la compartecipazione di pena o dolore di ciò che ti sta impressionando.
Potremmo dire che c’è una sofferenza intima che ti prende e ti conquista nell’intero essere … e questo risuonare di identificazione – di cui abbiamo accennato – ti fa entrare in una parte di te che non conosci o che raramente esperimenti – ma di cui comunque abbiamo esperienze di ” sentire ” – che ti fa provare veramente quell’amore ( “alto” di anima, di spirito ) che ti fa riconoscere nell’altro una parte di te che risuona … una parte di te che si trasla nell’altro in identificazione e desidera, in unione, soluzione e sollievo di pene.
E c’è anche, in questo, COMMOZIONE che si aggiunge alla COMPASSIONE ! C’è tutto un sentire dello spirito, un sentire dell’anima, un sentire del corpo.
Quasi un desiderare il miracolo, comunque la trasformazione della situazione in positivo, il superamento di quella realtà dolorosa o percepita come tale.
Ecco: … in questo intimo sentirsi identificato in una parte “altra da te”, tu ti ritrovi e ti riconosci “uguale” a specchio nell’altro, ti ritrovi e ti riconosci in eco, in risonanza, in frequenza, in simpatia, in amore … E il desiderio di farsi carico e condividere “con” “passione”… e quindi in una maniera che associa al dolore lo struggimento della passione ( patior ) che si riconosce in tutta la sofferenza che, in noi, si attiva a riconoscere quella dell’altro ( Entanglement …? ).
La COMPASSIONE dunque come sentimento ed esperienza di vita che ci fa “sentire” questa vita, che ci fa esprimere, ci fa risuonare un ” esserci “: un Modo di Essere che di per sé ci accompagna quotidianamente, in potenza ed in atto …
Quante volte abbiamo detto o abbiamo sentito dire: mi fa compassione, provo compassione …
( O forse siamo anche arrivati a dire : mi faccio compassione da me ! – con l’animo di superare l’espressione più immediata: “mi faccio pena” )
Potremmo anche arrivare a dire, allora, che il nostro sentire nella quotidianità ordinaria è proprio un “sentire di compassione”, un provare il limite – fino al dolore – attraverso la sofferenza di ciò che è l’esperienza della propria vita quotidiana: la quale anima il nostro corpo in ” sensazioni emozioni e sentimenti ” … e questa compassione potrebbe ancora una volta assurgere a minimo comune denominatore di una continuità di momenti dove il sentire dell’organismo vivente – che siamo – attraverso la mente che “riflette” … ci realizza e coinvolge in esperienza che di per sé è sofferenza e limite … a fronte di un termine di paragone: che è “infinito” per tempo, ed “infinito”… come confronto e richiamo.
Che aggiungere dunque se non la riflessione che ciascuno di noi può ascoltarsi ed in questo ascolto identificarsi nella provocazione del tema del giorno ?
Andiamo a cercare “dove”, “quando” … abbiamo provato compassione.
Cosa significa per te compassione ?
“Dove” abbiamo provato quella identificazione sofferta in situazioni dove altre persone, altri ambienti, altre cose ci hanno visti partecipi: in maniera intima, in maniera sensibilmente coinvolta : dove anche l’amore ed anche altri sentimenti hanno concorso a giocare e realizzare la nostra esperienza di parte.
Mi fa pena vederlo “così” … ( tossico-dipendente ? )
Provo a una compassione infinita per lui, per lei …
Quanto amore ci coinvolge in questo nostro dire, o in questo nostro ascoltare, o in questo nostro semplicemente pensare ….
Quanta simpatia c’è , quanta empatia c’è , quanto amore c’è , quante parti della propria Persona coinvolte !
quanta compassione ciascuno per sé ed i propri limiti ! !
Mi faccio compassione … ” da me ” ?
Può essere un dato di cronaca di guerra …
Può essere la morte di una persona cara o sconosciuta (che lascia… )
Le reminiscenze di studio della lingua latina mi portano all’analisi della parola: “cum patior” = ” soffrire con ” … Significa soffrire insieme: quindi portare insieme un dolore, una sofferenza, un qualcosa che in quel momento empaticamente e simpaticamente unisce te all’esperienza esterna, alla persona che ti coinvolge.
E allora anche qui scoprire l’identificazione in un ruolo, in una parte:
Io mi immedesimo con l’altro che soffre, sono “con” l’altro e “dentro” l’altro: … ad avvertire, a vibrare lo stesso tipo di condizione: corporea, emozionale, sentimentale, mentale.
Compassione è quando l’esperienza del dolore che senti dentro di te l’hai riconosciuta nell’altro e la senti uguale… e ti coinvolge e scopri che la condividi come vissuto.
Compassione per una persona rimasta sola a portare il suo lutto per la perdita di una persona cara, ma anche di un animale domestico ( ma anche rimasta sola a portare dispiacere e dolore per qualunque altra cosa – per lei/ persona – di Valore ).
E questo coinvolgimento ti comporta una tensione sofferta, un desiderio di aiutare a superare, a trasformare una situazione … come faresti per te.
Ma ti può anche portare … ad accusare, con impotenza e frustrazione, il limite di NON poterlo fare, ovvero, il limite di NON poter realizzare il cambiamento desiderabile, quel miracolo di guarigione, un sollievo e risoluzione di questa esperienza di dolore.
Il lutto citato per la morte di una persona cara o per disastri naturali ( o per le guerre che la cronaca ci riporta ) comporta coinvolgimento e livelli di compassione che sono tutti riconducibili allo “stesso sentire”: provare dispiacere, provare sofferenza, provare dolore, provare empaticamente e simpaticamente tutta l’identificazione ed il coinvolgimento con l’esperienza emotiva del momento.
E questa esperienza di dispiacere – che proviamo – si fa sentimentale, quando con la mente pensiamo e riflettiamo su tutto questo sentire.
Un SENTIMENTO, quello della COMPASSIONE, che ci avvolge … che qualche volta ci sconvolge … e qualche altra volta ci travolge… che tuttavia nella ordinaria maggioranza dei casi riusciamo ad arginare ed integrare armoniosamente in una tensione sofferta poggiata sui pilastri della SIMPATIA e dell’ EMPATIA, Sentimenti che – illuminati dal Sentimento dell’AMORE – ci fanno camminare la Terra … e toccare il Cielo !
AD MAIORA ! !
Una risposta
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